Diritto al suicidio assistito: la sentenza della Consulta
La Corte costituzionale si pronuncia sui limiti e i diritti dei pazienti
La Consulta ha recentemente affrontato la questione del suicidio assistito, sollecitando il legislatore a intervenire in assenza di una legge specifica che regoli la materia. Attualmente, i requisiti per accedere al suicidio assistito rimangono quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, relativa al caso di Dj Fabo.
Secondo la sentenza depositata il 18 luglio, la Corte ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Gip di Firenze sull’articolo 580 del codice penale, confermando i limiti stabiliti precedentemente. In particolare, si è pronunciata sul caso di Massimiliano, un toscano di 44 anni affetto da sclerosi multipla, che si è recato in Svizzera per il suicidio assistito poiché non dipendeva da trattamenti di sostegno vitale classici, ma era totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone per sopravvivere.
La sentenza ha chiarito che il concetto di trattamenti di sostegno vitale deve essere interpretato in conformità alla sentenza del 2019, che riconosce al paziente il diritto fondamentale di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario praticato sul proprio corpo. Questo include anche procedure come l’evacuazione manuale o l’inserimento di cateteri, che se interrotte possono portare alla morte del paziente in breve tempo.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che non vi è differenza tra un paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale e uno che ne ha bisogno ma non vi è ancora sottoposto. Entrambi hanno il diritto di rifiutare il trattamento e quindi di accedere al suicidio assistito, come stabilito dalla sentenza del 2019.