Politica

Polemica sul Suicidio Medicalmente Assistito: Il Caso Emilia-Romagna

Controversie e Ricorsi tra Regioni e Governo sull'Accesso al Fine Vita

Polemica sul Suicidio Medicalmente Assistito: Il Caso Emilia-Romagna

La polemica sulla legge sul fine vita non accenna a placarsi. Dopo la bocciatura della proposta da parte del consiglio regionale veneto, un nuovo potenziale ostacolo si presenta per un’altra iniziativa regionale. Il 12 aprile scorso, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero della Salute hanno presentato un ricorso al Tar dell’Emilia-Romagna contro la Regione per chiedere l’annullamento delle delibere di giunta che autorizzavano il suicidio medicalmente assistito nella regione guidata da Stefano Bonaccini. Questa azione è stata resa nota da Valentina Castaldini, consigliera regionale di Forza Italia.

Le motivazioni del ricorso evidenziano la presunta carenza di potere dell’ente sul tema e la presunta contraddittorietà e illogicità delle motivazioni introdotte nelle linee guida inviate alle aziende sanitarie. Non è la prima volta che viene contestata l’iniziativa della Regione. Castaldini aveva già presentato un ricorso simile lo scorso marzo insieme a un gruppo di associazioni.

Ma qual è il cuore della polemica? Per comprendere meglio la questione, è necessario analizzare le delibere oggetto di contestazione da parte del governo. A febbraio, la giunta regionale di Stefano Bonaccini aveva approvato due delibere per regolamentare l’accesso al suicidio medicalmente assistito. L’obiettivo dichiarato della Regione era colmare il vuoto legislativo lasciato dal Parlamento e garantire alle aziende sanitarie la possibilità di rispettare il diritto dei malati sancito da una sentenza della Corte costituzionale (n.242/2019).

In pratica, in Italia esiste da tempo un vuoto normativo in materia, nonostante la sentenza della Consulta che facilita l’esecuzione del desiderio di suicidio di una persona affetta da una patologia irreversibile e in condizioni di sofferenza insopportabile, purché sia pienamente capace di prendere decisioni autonome e consapevoli. Queste condizioni devono essere verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico competente sul territorio.

In questo contesto di vuoto legislativo a livello nazionale, le Regioni spesso agiscono autonomamente, dando luogo a controversie con il governo e le associazioni. In questo caso, la creazione del Corec (Comitato regionale per l’etica nella clinica) è stata oggetto di contestazione, poiché l’ente è chiamato a esprimere un parere non vincolante sulle richieste dei pazienti. Il ricorso contesta anche le linee guida inviate alle aziende sanitarie locali, che stabiliscono un periodo massimo di 42 giorni tra la richiesta del paziente e l’eventuale esecuzione della procedura farmacologica.

Il vuoto legislativo persiste nonostante l’invito della Consulta nel 2019 al Parlamento nazionale di intervenire su una disciplina così delicata che riguarda la vita e la morte. Dopo cinque anni, la situazione rimane incerta e i temi cruciali, che dovrebbero coinvolgere tutti i partiti politici, diventano oggetto di scontro ideologico. Questo mentre i diritti di tutti restano in bilico.