Economia

Differenziali Salariali di Genere: Cause e Impatti

Il gender pay gap analizzato in Europa e in Italia, con dati e cause della disparità salariale tra uomini e donne.

Differenziali Salariali di Genere: Cause e Impatti

I differenziali salariali di genere, ovvero la differenza tra la retribuzione media delle donne e quella degli uomini, da sempre a favore dei secondi, sono il risultato di un fenomeno complesso che si è recentemente cominciato a studiare per tentare di comprendere non solo le cause e le dipendenze, ma anche le possibili azioni correttive. Questo problema, che coinvolge la politica e ha radici culturali profonde, è in gran parte causato da secoli di discriminazione nei confronti delle donne. Fino a pochi decenni fa, le donne avevano un accesso limitato alle occupazioni più remunerative e spesso avevano maggiori responsabilità familiari, influenzando così il loro sviluppo di carriera e le opportunità di guadagno.

Quando si parla di differenziali salariali di genere, si fa spesso riferimento al termine “gender pay gap”, che include sia le differenze tra i salari medi maschili e femminili, sia la specifica differenza tra i guadagni degli uomini e delle donne con le stesse professioni e ruoli. Questi differenziali riguardano sia la paga oraria che il reddito annuale da lavoro.

Secondo i dati Eurostat relativi ai lavoratori delle aziende con più di 10 dipendenti nell’Unione Europea, le donne guadagnano in media il 12,7% in meno degli uomini. In Italia, questo divario è del 5%, posizionando il Paese tra quelli europei con il divario più contenuto. Tuttavia, il tessuto imprenditoriale italiano è prevalentemente composto da piccole e micro imprese, che non rientrano in questa classifica, rendendo il dato poco rappresentativo.

Anche i dati dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) confermano un divario simile, che sale al 33% se si considerano solo i lavoratori autonomi e i professionisti.

Analizzando i redditi annuali, i dati dell’INPS relativi ai lavoratori dipendenti del settore privato (escludendo quello agricolo) mostrano che in Italia il reddito medio annuale lordo delle donne è di 18.305 euro, contro i 26.227 euro degli uomini, con una differenza di quasi 8.000 euro, corrispondente al 30%. Questo divario aumenta con l’età, raggiungendo il 33% nella fascia tra i 55 e i 59 anni. Nel settore privato, su 17 milioni di lavoratori, 9,7 milioni sono uomini e 7,3 milioni sono donne.

Anche nel settore pubblico, le donne guadagnano in media 30.262 euro lordi all’anno, il 25% in meno rispetto ai colleghi uomini che percepiscono 40.157 euro. In questo caso, le lavoratrici sono più numerose dei lavoratori, con 2,2 milioni di donne su un totale di 3,7 milioni di dipendenti pubblici.

La differenza salariale tra uomini e donne, sia a livello orario che annuale, evidenzia già una parte del problema. Secondo Alessandra Casarico, professoressa di economia all’Università Bocconi e esperta di studi sui differenziali di genere, le differenze salariali orarie sono più contenute rispetto a quelle annuali, poiché queste ultime sono influenzate in modo significativo dalle ore lavorate e dalle condizioni contrattuali. Le donne spesso occupano posizioni meno prestigiose e meno remunerate, contribuendo così al divario salariale.

Le ragioni di questo divario possono essere ricondotte a quattro categorie principali: la segregazione orizzontale, la segregazione verticale, il fattore tempo e una quota residuale non pienamente spiegata. La segregazione orizzontale si riferisce alla tendenza delle donne a scegliere settori lavorativi con salari intrinsecamente più bassi, indipendentemente dal genere. La segregazione verticale riguarda le minori opportunità di carriera per le donne e la difficoltà nel raggiungere posizioni di vertice. Il fattore tempo è legato alla maggiore responsabilità delle donne nelle attività di cura familiare, che influisce sulle ore lavorate e di conseguenza sui guadagni. La quota residuale del divario salariale potrebbe derivare da discriminazioni dirette da parte dei datori di lavoro.

La segregazione settoriale è confermata da dati che evidenziano la predominanza delle donne in settori come l’assistenza all’infanzia, l’insegnamento e la sanità, caratterizzati da retribuzioni più basse. Questa scelta non dipende solo dalle preferenze individuali, ma anche da fattori culturali e sociali che influenzano le scelte professionali delle donne.

Per quanto riguarda la segregazione verticale, in Italia le donne occupano solo il 21% delle posizioni dirigenziali rispetto al 58,4% delle posizioni impiegatizie. Questo limite nelle opportunità di carriera influisce direttamente sui guadagni delle donne, che risultano sistematicamente inferiori a quelli degli uomini.

Il fattore tempo è determinato dalla maggiore responsabilità delle donne nelle attività di cura familiare, che porta a una riduzione delle ore lavorate e dei guadagni. Anche le carriere discontinue delle donne, spesso legate a contratti part-time e interruzioni per maternità, contribuiscono al divario salariale.

Queste tre categorie di ragioni non esauriscono la spiegazione del gender pay gap, poiché sono influenzate da stereotipi culturali e sociali. È importante comprendere non solo le cause del divario salariale, ma anche le radici culturali e discriminazioni che hanno contribuito a perpetuarlo nel tempo.

Infine, la quota residuale del divario salariale, non pienamente spiegabile con dati e studi scientifici, potrebbe derivare da discriminazioni e pregiudizi ancora presenti nei luoghi di lavoro. I datori di lavoro potrebbero scegliere di pagare meno le donne per motivi discriminatori, contribuendo così a mantenere il divario salariale di genere.

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