Proteste in Israele contro Netanyahu: la crisi politica e la lotta per la liberazione degli ostaggi
Decine di migliaia di persone protestano in Israele contro Netanyahu per la gestione della crisi degli ostaggi e la politica estrema destra.
Domenica in Israele decine di migliaia di persone si sono radunate in varie città per protestare contro il governo di Benjamin Netanyahu e chiedere nuove elezioni. Le proteste dovrebbero continuare per altri tre giorni questa settimana, ma sono già considerate le più grandi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza contro Hamas, il gruppo radicale palestinese che il 7 ottobre scorso ha compiuto un grave attacco contro Israele, uccidendo circa 1.200 persone e prendendone in ostaggio quasi 250. I manifestanti hanno criticato soprattutto il modo in cui il governo di Netanyahu sta gestendo i negoziati per la liberazione degli ostaggi.
Le proteste più partecipate sono state a Tel Aviv, Beer Sheva, Haifa e a Gerusalemme, davanti alla sede della Knesset, il parlamento israeliano. A Tel Aviv le proteste si sono concentrate nella piazza davanti al Museo d’Arte dove negli ultimi mesi si sono accampate le famiglie delle persone prese in ostaggio il 7 ottobre, e all’ingresso dell’area nota come Kirya, dove si trovano molti palazzi governativi e una delle sedi centrali dell’esercito israeliano.
A Gerusalemme i manifestanti hanno bloccato un’autostrada, accendendo anche dei falò sulla carreggiata. La polizia li ha sgomberati usando cannoni ad acqua riempiti di skunk, un liquido non tossico ma estremamente maleodorante. La polizia ha inoltre impedito ai manifestanti di bloccare un’altra importante strada di accesso alla città. Fra la sede del parlamento e quella del ministero degli Esteri è stato montato un centinaio di tende per permettere ai manifestanti di accamparsi in città in vista delle proteste organizzate per i prossimi giorni.
Netanyahu ha commentato le richieste di dimissioni in un intervento mandato in onda sulle televisioni israeliane domenica sera: ha detto che indire nuove elezioni paralizzerebbe Israele per vari mesi e renderebbe difficile portare avanti i colloqui per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas. Quello attualmente guidato da Netanyahu è considerato il governo più di destra della storia di Israele. Per avere la maggioranza in parlamento ha bisogno del sostegno di diversi partiti di estrema destra nazionalista, particolarmente aggressivi nei confronti dei palestinesi.
Netanyahu, che è il primo ministro israeliano rimasto in carica più a lungo, ha sempre dimostrato un’abilità particolare nel rimanere al potere: fu nominato primo ministro per la prima volta nel 1996 e da allora è sempre rimasto una figura centrale della politica israeliana, nonostante numerosi scandali. Secondo molti però il fallimento nella gestione della sicurezza che ha reso possibile gli attacchi del 7 ottobre e la successiva gestione della guerra potrebbero causare il suo declino politico definitivo.
Dopo il 7 ottobre l’opinione pubblica israeliana si era compattata in sostegno al governo e alle forze armate. L’obiettivo della guerra dichiarato da Israele, la distruzione completa di Hamas, è tuttora sostenuto da gran parte della popolazione, nonostante sia assai criticato dagli alleati internazionali del paese. Molti però chiedono che i negoziati ottengano la liberazione immediata dei circa 130 ostaggi ancora detenuti nella Striscia di Gaza (diversi dei quali si ritiene siano morti).
A novembre più di cento donne, bambini e cittadini stranieri tenuti in ostaggio erano stati liberati grazie a un accordo fra Israele e Hamas, che prevedeva anche un cessate il fuoco temporaneo e la liberazione di prigionieri palestinesi dalle prigioni israeliane. Finora le operazioni militari nella striscia di Gaza hanno portato alla liberazione di soli tre ostaggi vivi, e al recupero di alcuni cadaveri. Domenica dovrebbero essere iniziati al Cairo, in Egitto, nuovi negoziati fra Israele e Hamas, con la mediazione di Qatar ed Egitto, due paesi che mantengono buoni rapporti con entrambe le parti. Sembra però improbabile che si possa raggiungere immediatamente un accordo: Hamas ha detto di non aver inviato una propria delegazione, per il momento.